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AMORI RUBATI - lo spettacolo

Amori Rubati è uno spettacolo composito (modulabile), costituito da cinque brevi monologhi per voce sola, che hanno come tema centrale la violenza sulle donne.
I monologhi sono tutti tratti dal libro L’amore rubato di Dacia Maraini e adattati per la scena da Dacia stessa.

Gli spettacoli sono andati in scena una sola volta, in forma di evento, a dicembre 2023 al Palazzo delle Esposizioni di Roma, nell’arco di diverse serate.

Le interpreti, Federica Di Martino, Viola Graziosi, Federica Restani, Silvia Siravo e Lorenza Sorino sono anche registe e curatrici del proprio pezzo.

FRANCESCA diretto e interpretato da Federica Di Martino
Tratto dal racconto Cronaca di una violenza di gruppo

ANNA diretto e interpretato da Viola Graziosi
Tratto dal racconto Anna e il Moro

ANGELA diretto e interpretato da Federica Restani
Tratto dal racconto La notte della gelosia

GIORGIA diretto e interpretato da Silvia Siravo
Tratto dal racconto Lo Stupratore premuroso

MARINA diretto e interpretato da Lorenza Sorino
Tratto dal racconto Marina è caduta per le scale

 

Ogni pezzo ha la durata di circa 35 minuti. Condividiamo qui di seguito alcune foto di scena.

note di regia

ANGELA

Se ascoltare una storia ha sempre a che fare l’immedesimarsi e il riportare su di sé l’esperienza narrata,
l’assistere all’andata in scena implica in più la necessità di trasformare questo coinvolgimento in futura
azione.

Dacia Maraini attraverso la storia di Angela invita così ad un gesto ribelle contro l’accettare che
qualsiasi essere umano possa essere considerato un oggetto da possedere, manipolare, distruggere. Angela
ci ricorda che come donna deve sconfiggere non solo quell’abitudine ad assumere su di sé una
responsabilità alla cura che ha introiettato in secoli di storia e oggi ancora attuale, ma anche la colpa che
prende voce attraverso le parole di una religione che cementa un’antica misoginia.

L’uomo in cui inciampa è travestito da “benedizione”, è un idolo che porta salvezza dalla solitudine, che
dona felicità, che sottrae dall’oblio. E’ anche lo specchio che rivela l’eterno senso di colpa del femminile
originatosi nella notte dei tempi e permeato capillarmente nella cultura occidentale. Dura la lotta di Angela
per sottrarsi da una pretesa di possesso che fa leva sulla pietà e sul senso di colpa scritto nel dna.
Ma lo spirito di sopravvivenza, l’intuito che porta a preservare quel bene supremo che è la vita si rivelerà
una chiave di volta in questa storia che auspichiamo serva da a ciò che il teatro suggerisce sempre di fare:
passare all’azione.

Federica Restani

ANNA

Una musica di violino storpiata, un’anima in frantumi, anzi due.
Madre e figlia: un’unica voce. La separazione è strapiombo. La fine, buio: nessuna indulgenza. Cosa ci rende ciechi e ci impedisce di vedere? Chi, di noi, resiste, rimane inerte, complice? È una domanda che mi sono fa$a più volte. Chi sono, dove sono, mentre la vita scorre attraverso di me.

La scena: una madre sulla soglia. La torba che è vita. Semi che possono crescere, oppure no.
Echi di voci, energia vitale, di Anna e i suoi sogni e poi il silenzio, e il rimbombo storpiato della voce di lui, cantante rock dalle mani violente.
Questo racconto di Dacia Maraini tratto dalla raccolta L’Amore rubato, si ispira a una terribile storia vera che mi aveva molto colpito quando vivevo a Parigi. La giovane attrice in questione era, come me, figlia di un grande attore… E lui, il cantante famoso, è stato condannato, ma troppo poco.

Quando Federica Di Martino mi ha proposto di continuare il racconto degli “Amori rubati” affidandomi Anna che ha qualcosa di Ofelia e di Marie, ho capito che potevo farmi testimone.
Perché ancora il Teatro è la risposta: la culla, il ventre, la terra, la Madre. Qui possiamo imparare a guardare, senza paura. Un’attrice ci prende per mano e risorgiamo insieme dal dolore. Più forti e svegli nella nostra vita, che è il dono più prezioso che abbiamo.

Viola Graziosi

FRANCESCA

Cronaca di una violenza di gruppo è un racconto di Dacia Maraini presente nella raccolta L’Amore Rubato.
La storia la vorremmo inventata, irreale mai accaduta, invece recenti fatti di cronaca ci rammentano la sua schiacciante veridicità e autenticità.

È la storia di uno stupro di gruppo da parte di quattro adolescenti ai danni di una loro compagna di classe di tredici anni.
Stupro mai condannato.
I colpevoli tutti assolti, malgrado i testimoni, malgrado la vittima, sopravvissuta, abbia denunciato.

Dacia Maraini ci racconta questa storia facendo parlare tutti i protagonisti:
i quattro ragazzi artefici dello stupro, la migliore amica della vittima che assiste da lontano ai fatti muta e impotente, il padre della ragazzina violentata, il prete che la soccorre sanguinante ma viva per strada, il preside della scuola che tutti gli implicati nella vicenda frequentano.
Ma la bambina no, la bambina la Maraini non la fa parlare..la bambina vive nella storia solo attraverso le parole degli altri.
Questo mi ha colpito e mi ha spinto a desiderare di mettere in scena il racconto.

Che vita può avere una ragazzina dopo aver subito uno stupro a 13 anni? Forse nessuna. Forse la sua anima si ferma in quel momento e in quel momento muore per sempre.

In scena c’è una donna sola. Un’ anima morta. Una bambina diventata donna fra quattro mura, raccontandosi sempre la stessa storia, per come gli altri l hanno raccontata, per come la società l’ha digerita.
In scena c’è una donna giudicata incapace di intendere e volere, una donna divenuta davvero incapace: incapace di uscire, incapace di guardarsi allo specchio, incapace di raccontare con le sue parole l orrore, incapace di avere sue parole.
Una ragazzina che ha perso quel giorno il suo posto nel mondo…
Un mondo fatto di “persone per bene”, un mondo dove i colpevoli hanno voce.
Dove i colpevoli possono vivere, liberi.

Federica Di Martino

GIORGIA

“Molto, molto al di sotto nel mare abissale il suo antico, indisturbato, sonno senza sogni dormiva il Kraken…”

“Necesitas ayuda?”…si apre così il racconto di Dacia Maraini, con una proposta gentile d’aiuto, con un gesto di generosità e prodigalità che si trasforma in un incubo.
Incubo che Giorgia, la protagonista, continua a sentire sulla sua pelle.

Un uomo con la divisa le ha offerto un passaggio e lei si è fidata. Ha accettato la mano tesa e si è ritrovata in una voragine di violenza e buio. Ha avvistato quello che credeva essere un approdo, un’isola dove ristorarsi, e si è ritrovata invece sulla sommità emersa di un Kraken, ovvero nelle fauci di un mostro.

Ora in un mondo quasi del tutto sotterrato, deformato, che ha perso colore, rimette in scena ossessivamente quella spirale di dolore. Giorgia ridisegna quelle immagini deplorevoli con pochi tratti essenziali e quasi infantili, nel tentativo incessante di accatastarle in un spazio della mente dove possano fare meno male.

Le parole di Dacia Maraini allora come catarsi, le parole come liberazione, ma anche come rifiuto, come monito che tutto può succedere dove meno te lo aspetti.

Lo stupro è un atto di potere, di sopraffazione, che mina gravemente l’autostima e la coscienza di chi lo vive.

Lo stupro non si misura solo sulle ecchimosi e sul sanguinamento, ma anche sul suo potere di agire in profondità nella psiche femminile, rendendola nemica di se stessa.

Questa storia vera si svolge nella Spagna di qualche anno fa, e in qualsiasi luogo dove in questo momento si perpetuino degli abusi.

Silvia Siravo

MARINA

Ogni storia ha un punto di vista, che è quello da dove la si guarda. In questa, che è una storia di violenza, lo sguardo da cui partiamo è quello di chi quella violenza l’ha subita.
Il modo in cui guardiamo gli avvenimenti è determinante, perché non solo ne delinea la nostra opinione al riguardo ma anche l’identità di ciò che viene guardato. Perché è così che succede, ognuno di noi chiarisce a se stesso la propria identità perché sono gli altri che ce la rimandano, è la comunità con cui entriamo in relazione che ci definisce.

Cosa accadrebbe se per, effetto dei sentimenti, o più precisamente nella nostra storia, per amore, le nostre relazioni con gli altri finissero per diminuire sempre più riducendosi ad una sola unica persona? E se quella persona coincidesse con il nostro partner, ovvero colui o colei in cui poniamo la nostra massima fiducia e ascolto?

Per Marina accade così, lei definisce se stessa attraverso l’unico sguardo che finirà per osservarla, quello del suo amore, e che agirà su di lei come in una sorta di addestramento animale.
Lo sguardo della nostra protagonista, è uno sguardo condizionato, che quotidianamente si modifica e distorce la realtà con cui viene in contatto. La violenza viene compresa, accettata, edulcorata in una dimensione di solitudine che diviene isolamento e che un pezzettino alla volta diviene normalità. La normalità può essere stravolta solo da un accadimento eccezionale permettendoci di avere uno sguardo nuovo su ciò che abbiamo intorno.

Lorenza Sorino